Alla domanda, sei ottimista o pessimista sul futuro, ci sono due reazioni, normalmente. “Sono ottimista”, e forzo il mio esserlo. “Sono pessimista”, e in realtà non lo sono così tanto (la terza possibile risposta, “sono realista”, in realtà va considerata come un modo diverso di dire “sono pessimista”). A domande che richiederebbero di essere così netti, è difficile essere altrettanto precisi. Alla conclusione della lettura di un libro, invece, non servono dichiarazioni nitide. Sono le sensazioni che dominano la tua risposta. Ogni libro ha una visione più o meno brillante sul futuro. Un giallo ancor di più. La ricerca del colpevole, o dei colpevoli, ha dentro di sé uno sguardo sul futuro, sul fare e dare giustizia. In qualche caso parteggi per l’assassino solo perché ti tenga con il fiato sospeso, ti fornisca un po’ di adrenalina. Ma, alla fine, vuoi che finisca in galera. Il tutto fornisce grandi rassicurazioni al lettore: alla fine il colpevole è stato identificato. Quando tutto questo si trasferisce nel reale, le cose possono cambiare. Di fronte ad un attentato terroristico di matrice islamica, la morte dell’assassino spesso viene vissuta come un atto liberatorio. Il pensiero va all’impossibilità che il suicida possa redimersi in carcere perché il suo atto è collegato alla religione: un’entità superiore con cui è difficile fare i conti, quasi impossibile da estirpare: qui ci sono tutti i connotati del sacrificio. Il sacrificio dell’attentatore-suicida è volto ad avere una nuova vita. In quel gesto estremo c’è tutto il vittimismo oltre che il tentativo liberare, purificare, il mondo. Anzi, secondo Roberto Calasso, nel suo libro “L’innominabile attuale”, vi è l’odio per la società secolare. Ecco, quando finisci di leggere “L’innominabile attuale”, hai la certezza di avere letto un libro pessimista e la domanda a quel punto è: “Si può diventare ottimisti verso il futuro?” Calasso, oltre ad essere il deux ex machina della casa editrice Adelphi, ed è uno dei pochi intellettuali ad essere conosciuto anche all’estero. Dopo la morte di Umberto Eco, sicuramente. Nella quarta di copertina dei suoi libri, non troveremo mai la sua fotografia né la sua biografia. Una scelta snob? Può essere. Questo sua ultima fatica è divisa in due parti. Nella prima siamo di fronte ad una serie di scale simili al quadro “Salita e Discesa” (1960) di Maurits Cornelis Escher in cui ad ogni angolo, c’è una prospettiva diversa. Per Calasso ogni gradino si trasforma in un aforisma. Due sono le figure su cui indaga: il terrorista e il turista. La seconda parte del libro è ambientata nell’Europa dal 1933 al 1945 ed è un coro di voci registrate dal gennaio del 1933 al maggio del 1945. Dentro questo spazio temporale, dove per Calasso “il mondo ha compiuto un tentativo di autoannientamento, parzialmente riuscito”, si muovono voci quali quelle di Klaus Mann, Virginia Woolf, George Simenon, Louis-Ferdinand Céline, Samuel Beckett, ma anche voci infernali come quelle di Joseph Goebbels.
Proprio per l’incastro che Calasso fornisce a questo libro, la cosa migliore è quella di riportare alcuni dei diversi gradini di cui si compone l’opera.
Sulla società secolare
“La secolarizzazione è, in primo luogo, allentamento dei vincoli – di qualsiasi vincolo. E, in certi casi, cancellazione dei vincoli stessi. A parte il rispetto dei codici, che implica l’osservanza di un ordine, l’unico vincolo che in ogni caso rimane è il pagamento delle imposte. Nessun rito è obbligatorio neppure le votazioni. La situazione che da ciò risulta potrebbe suscitare un sottile senso di euforia. Davanti agli occhi di chiunque, vastissima si estende l’area del disponibile. E dell’ammissibile, purché non si violi la legge.
Ma i secolaristi non sono felici. Avvertono l’inconsistenza di ciò che li circonda. A tratti vi riconoscono qualcosa di minaccioso. Ma verso che cosa? La stessa inconsistenza è in loro stessi. Personalizzata.”
“Ci si può chiedere se la società secolare è una società che crede in qualcosa, oltre che in se stessa.”
Sulla democrazia
“Rispetto a tutti gli altri regimi, la democrazia non è un pensiero specifico, ma un insieme di procedure, che si pretendono capaci di accogliere in sé qualsiasi pensiero, eccetto quello che si propone di rovesciare la democrazia stessa.”
“Di null’altro è così fiero il pensiero secolare come di aver inventato la democrazia. (…) Ma la democrazia, più che il pensiero di qualcosa, è una concatenazione di procedure. Che raggiungono il loro migliore funzionamento quando i congegni sono ben oliati, secondo il modello della democrazia formale”.
Sui turisti
“Che cosa separa i secolaristi dai religiosi, se anche i secolaristi sono fedeli a loro credenze e si attengono a una qualche ritualità, pur frammentata e idiosincratica? Rispetto ai religiosi, i secolaristi sono come i turisti rispetto ai nativi. Curiosi, simpatetici, talvolta appassionati e spesso impressionati. E sempre accompagnati da un pensiero rassicurante: il ritorno al luogo da dove sono partiti”.
“La convergenza delle culture verso l’unità si verifica nel turismo e nella pornografia. Sono mondi paralleli, dove vigono regole simili. Massima riduzione nel repertorio dei gesti e delle azioni formalizzate. Minime differenze negli abbigliamenti e negli arredamenti. Tendenziale abolizione dei preamboli e delle diramazioni narrative.”
Sull’Islam
“Con l’Islam è finita l’era delle religioni. Maometto si presentava come “Sigillo dei Profeti”. Da allora, nascono solo scismi. O sette e culti, che si moltiplicano.”
“La figura dell’assassino-suicida non è certo un’invenzione recente. All’interno dell’Islam, nasce con Hasan-i Sabbah, il “Veglio della Montagna” di cui parla Marco Polo, figura leggendaria concresciuta allo stratega ismailita che per anni aveva ordito trame a partire dalla fortezza di Alamut. (…) Il Vecchio della Montagna aveva fatto conoscere ai suoi ospiti il sapore del paradiso. Secoli dopo, sarebbe bastato offrire l’assicurazione che il paradiso è riservato ai martiri del jihad ed è colmo di piaceri, come si legge nel Corano. Ma prima occorreva scoprire il piacere della morte.”
Sulla Chiesa
“Homo saecularis parla con molte voci, spesso divergenti. Quella che più si fa notare è progressista e umanitaria. Applica precetti di eredità cristiana, ammorbiditi e edulcorati. Soluzione tiepida e pavida, si combina, in senso inverso, con il movimento in corso nella Chiesa stessa, che cerca sempre più di assimilarsi a un ente assistenziale. Il risultato è che i secolaristi parlano con una compunzione da ecclesiastici e gli ecclesiastici ambiscono a farsi passare da professori di sociologia.”
“Homo saecularis non è così contrario alle religioni in sé. Le religioni somigliano molto alle ideologie, e con queste ultime è abituato ad avere a che fare ogni giorno. Chi dice di essere cristiano non deve essere molto diverso da chi dice di essere vegetariano. Sono tutti gruppi, comunità, confraternite. Si può essere comunisti — come anche culturisti. Ogni scelta va rispettata. Sono tutte minoranze. Nicchie. Quel che Homo saecularis invece non riesce a cogliere è il divino. Non sa situarlo. Non rientra nell’ordine delle cose. Delle sue cose.”
Sul digitale e la disintermediazione
“Finché un giorno, all’alba del mondo digitale, non si profilò un termine fascinoso: disintermediazione. Ora bastava digitare certe parole, in sequenza, e chiunque aveva l’impressione di agire in prima persona, senza ricorrere ai soliti fastidiosi intermediari. Se questo valeva per un viaggio o una prenotazione di albergo, perché non doveva valere anche in politica? È una domanda che ha obnubilato non pochi – e continua a farlo, quanto più la digitalità è pervasiva e la disintermediazione offre a ogni passo una facile ebbrezza. La quale, se osservata da vicino, si rivela fondata sull’odio per la mediazione. Che è fatale per il pensiero. Non c’è bisogno di rifarsi a Hegel per sapere che non solo il pensiero ma la percezione sussistono soltanto grazie alla mediazione, quindi attraverso continui aggiustamenti e compromessi, che sono l’opera stessa della mediazione. Anche il vagheggiamento della democrazia diretta non discende ormai da una riflessione politica, ma dall’infatuazione informatica. Che, deprezzando la mediazione, finisce anche per deprezzare l’immediatezza, raggiungibile soltanto dopo aver attraversato il reticolo delle mediazioni.”
“Nel passato, la censura ha operato bloccando il flusso di informazione. Nel ventunesimo secolo, la censura opera sommergendo la gente con informazione irrilevante. Teorema da cui discende un corollario: Oggi avere potere significa sapere che cosa ignorare.”
Calasso guarda dentro alle crepe della nostra modernità. Lo fa senza nascondere la polvere sotto il tappeto. E questo vale per tutte le case, tutte le appartenenze. Il pessimismo di questo libro va oltre le sensazioni. Calasso emette sentenze ad ogni gradino. A differenza del quadro di Escher, mancano le vie di uscita, manca la speranza: quella possibilità che fa del pessimismo “un moto a luogo”. Fosse anche un pertugio da dove tentare l’uscita. Ma talvolta la speranza, purchè sia ben riposta, ha bisogno di conoscere in quale crepa ci siamo infilati.
Titolo: L’innominabile attuale
Autore: Roberto Calasso
Editore: Adelphi
164 pp; 20 Euro