In una campagna elettorale in cui la constituency dell’impresa e del lavoro conta circa 15-16 milioni di voti (senza le famiglie) ma sembra pesare pochissimo i dati dell’Istat sul fatturato industriale del dicembre 2017 hanno riacceso, almeno per un pomeriggio, l’interesse della politica sulla manifattura.
Ma purtroppo tutto ciò durerà il tempo di rilasciare una dichiarazione alle agenzie o di fare un comizietto in favore di microfono, il mood della campagna continuerà ad essere «spesista» e a non dedicare l’attenzione necessaria al sistema delle imprese.
Eppure nei dati dell’Istat di ieri e in quelli diffusi successivamente dal Centro Studi Confindustria ci sono molti dettagli da approfondire e che messi tutti assieme vanno nella direzione di mostrare un rafforzamento della crescita nel primo semestre ‘18 a cui dovrebbe far seguito una stabilizzazione in autunno.
Il fatturato industriale di dicembre ha raggiunto il livello più elevato dal fatidico ottobre 2008 ma forse non ha più senso continuare a paragonare l’economia del post-Grande Crisi con quella precedente, molti parametri sono cambiati e converrebbe prenderne atto. L’export, in virtù del buon cammino del commercio mondiale, continua a rappresentare la polizza più sicura per la crescita italiana, dovremo aumentare il numero delle aziende in grado di vendere oltrefrontiera ed è interessante comunque per ora annotare il mix dei mercati giudicati più dinamici: gli immancabili Usa accanto alla Cina e addirittura alla Polonia.
I dati di ieri devono essere salutati con viva soddisfazione ma non devono distrarre energie dall’agenda-delle-cose-da-fare. Non bisogna dimenticare, infatti, che fin quando la vicenda Ilva non si sarà risolta e non avremo voltato pagina con il passaggio di proprietà alla cordata capeggiata da ArcelorMittal non si possono dormire sonni tranquilli. Troppo importante è il peso di quello stabilimento nel sistema Italia.
Anche per quanto riguarda la componente investimenti tocca sottolineare come fuori del Piano Industria 4.0 non ci siano altri grandi o medi progetti in itinere. Ed è obiettivamente in peccato perché molti business vivono una profonda trasformazione e i mercati appaiono ricettivi.
Infine il terreno delle relazioni industriali: dopo la firma del contratto metalmeccanici sembrava che fosse iniziata una fase del tutto nuova e riformista, purtroppo non è stato così.
Per consolidare la ripresa servirebbe una forte spinta all’incremento della produttività in azienda accompagnata da intelligenti accordi sul salario. Non avviare quest’operazione è un errore che rientrerà nella gallery degli autogoal italiani.