In calendario ci sono elezioni politiche decisive che attendono tra tre settimane il Paese con il terzo debito più vasto al mondo e una crescita fra le più basse, mentre un partito anti-sistema viaggia primo nei sondaggi: dai mercati finanziari non lo si direbbe affatto. Chi guardasse solo gli indici di Borsa e i rendimenti dei titoli di Stato, al contrario, dovrebbe concludere che l’Italia è uno dei Paesi più stabili e prevedibili d’Europa e dell’Occidente.
L’incertezza sull’esito delle elezioni del 4 marzo non sembra sfiorare gli investitori, almeno a prima vista. Anche dopo le correzioni dei mercati azionari nell’ultima settimana, l’indice Ftse-Mib della borsa milanese vanta ancora performance fra le migliori al mondo nelle ultime settimane. Dall’inizio dell’anno è salito dell’1,19%, mentre l’Eurostoxx 60o dei principali titoli europei è sceso del 3,3%, l’SeP 50o di New York ha perso i13,8%e il Dax di Francoforte è giù del 5,2%. La piazza che è andata meglio, curiosamente, è quella del Paese del quale nessuno riesce a prevedere il governo del mese prossimo. Anche il mercato del reddito fisso racconta una storia simile. Malgrado le tensioni e i dubbi nella Banca centrale europea in vista della fine degli interventi sui mercati, paralleli all’incertezza dei sondaggi in Italia, nell’ultimo mese i rendimenti dei titoli di Stato di Roma si sono stabilizzati.
Con la Spagna, l’Italia rappresenta uno dei pochi casi nei quali i premi al rischio non stanno salendo. Il Btp decennale ha persino messo a segno il controsorpasso sul Portogallo, il cui bond aveva iniziato a vantare uno spread più stretto di quello italiano sui titoli tedeschi. Si direbbe quasi che gli investitori trovino noioso il passaggio elettorale più delicato del mondo nel 2018. Nell’era del rischio politico, l’Italia si avvia alle urne in una situazione sorprendentemente sedata.
Se questo è ciò che dicono i mercati, l’industria del turismo racconta qualcosa di diverso. Non sapremo mai quanto hanno beneficiato gli hotel e i ristoranti di lusso di Roma dalla processione di analisti e investitori internazionali che vengono da quando a maggio scorso hanno iniziato a vedere il voto all’orizzonte. Di sicuro non sarà stato poco. Solo negli ultimi giorni hanno condotto nella capitale grandi delegazioni di clienti le banche americane Citi e Morgan Stanley. Prima di loro hanno fatto lo stesso altre concorrenti dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dai Paesi scandinavi. Sono venuti a Roma gli emissari di fondi speculativi newyorkesi, di grandi fondi sovrani come quello di Singapore, e grandissimi gestori internazionali di risparmio. Molti altri sono attesi di qui a marzo.
Tutti arrivano per interrogare analisti, sondaggisti, alti burocratici, politici ministri. L’obiettivo di questa strana forma di turismo finanziario è sempre lo stesso: cercare di districarsi nella selva della politica italiana, per essere certi che non si realizzi lo scenario che gli investitori temono e detestano di un’alleanza populista al governo. Per adesso gli analisti dall’estero tendono ad assegnare a questo esito probabilità molto basse. Emblematico un recente rapporto di Ubs, che non include neppure una coalizione fra Movimento 5 Stelle e Lega fra le possibilità prese in considerazione. Per gli analisti della banca svizzera, «gli scenari più probabili sono – nell’ordine – una a grande coalizione centrista, un governo tecnocratico sostenuto da una grande coalizione ampia (che includa tutti da Liberi e Uguali e Forza Italia, ndr) e nuove elezioni».
Lorenzo Codogno, ex dirigente del Tesoro e ora uno degli analisti di Londra più ascoltati sulle questioni europee, assegna solo il 3% di probabilità a quello che definisce lo «scenario da incubo di un governo anti-euro e anti-establishment». Fra i motivi razionali per mantenere il sangue freddo in vista del voto italiano, gli osservatori di mercato ne hanno almeno un altro: l’economia non andava cosi bene da tanto tempo. In un’analisi della scorsa settimana Jack Allen di Capital Economics, riassume alcuni dei punti di forza dell’Italia in questa fase: «L’indice Pmi Composite (che segue la fiducia dei manager, ndr) è al livello più alto da anni e, in base a esperienze passate, sarebbe coerente con un ritmo di crescita del Pil dell’1% per trimestre». Anche l’indicatore del «sentimenti» economico, secondo Allen, in questo momento per l’Italia potrebbe indicare una crescita del 2% per nel 2018.
Fin qui arrivano i fattori razionali, per spiegare questa sorprendente tregua finanziaria pre-elettorale. Non è riuscito a spezzarla neppure l’esplicito scetticismo sui prezzi del debito italiani espresso di recente da Bridgewater, il più grande hedge fund al mondo fondato e guidato dall’italo-americano Ray Dalio. E noto però che i mercati sono animati da esseri umani e questi ultimi non vivono di sola razionalità. Qualcos’altro potrebbe contribuire a spiegare la relativa calma di queste settimane. Basta guardarsi un po’ indietro per capire.
Basta guardare, nello specifico, agli ultimi due passaggi dalle urne che sui mercati europei erano stati presentati come un bivio fra la salvezza e la catastrofe: il referendum costituzionale in Italia il 4 dicembre 2016 e le presidenziali francesi nella primavera dell’anno scorso. In entrambi i casi illustri guru e analisti avevano previsto fallimenti, disastri e altre implosioni dell’euro; in entrambi i casi molti investitori hanno dato credito agli annunci di sventura; e in entrambi casi hanno perso per questo molti soldi o molte occasioni di guadagnarne ancora di più, anche se l’esito del referendum italiano è stato in effetti negativo per il governo. E questo il trauma che da Londra molti protagonisti del mercato, a taccuini chiusi, ricordano più spesso per spiegare la tranquillità di oggi. Non quello di aver subito uno choc imprevisto, ma di averne previsto uno che poi non si è prodotto. Per questo oggi sulla paura di una crisi politica in Italia, prevale quella di lasciarsi sfuggire un’eventuale opportunità nel prossimo anno. Come alcuni grandi gestori di fondi fanno notare, in fondo i titoli della terza economia dell’area euro sembrano a buon mercato rispetto a quelli di quasi tutti gli altri Paesi. Ma, appunto, siamo in un campo al confine fra la razionalità, l’istinto e l’abitudine molto umana di combattere sempre la guerra di ieri. Nessuno sa dire come reagirebbero in caso di sorpresa politica negativa gli stessi che oggi riservano all’Italia uno sbadiglio o poco più.