«Vogliamo diventare la banca numero uno in Europa e pensiamo di poterci riuscire costruendo il nostro futuro su basi e valori solide».Difficilmente poteva apparire più ambizioso Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolo, presentando ieri a Milano il nuovo Piano d’impresa 2018-2021. Sull’eredità del precedente piano – rispettato in tutti gli obiettivi previsti, come ricordato più volte ai presenti – il manager si è però evidentemente costruito la dovuta credibilità. Così quei 6 miliardi di euro proiettati sull’utile netto consolidato a fine 2021 (rispetto ai 3,8 miliardi dell’esercizio appena concluso) sono apparsi ad alcuni analisti una previsione fin troppo cauta, mentre in una giornata turbolenta di Borsa il titolo riusciva a chiudere a +0,6% permettendo alla stessa Intesa di diventare la società a maggior capitalizzazione di Piazza Affari.
La strategia riproposta ieri da Messina è del resto quella vincente che ha permesso al gruppo di superare negli ultimi quattro anni uno scenario «competitivo e peggiore di quanto ci si potesse attendere», basata cioè su tre pilastri: la continua riduzione dei rischi connessi al portafoglio (leggi sofferenze); il contenimento dei costi attraverso un’ulteriore semplificazione del modello operativo e, non certo da ultima, l’accelerazione dei ricavi sviluppando nuove opportunità di business. Tre semplici (sulla carta) ricette che promettono a Intesa un futuro da «leader europeo nel Wealth Management & Protection, da raggiungere con un modello di business unico e grazie alle risorse principali: le persone e una piattaforma digitale all’avanguardia».
Riguardo agli Npl (tema spinoso sul quale Messina non ha risparmiato frecciate né alla sorveglianza Bce, né ad altri «colleghi» italiani come si legge a fianco) la promessa è di dimezzare l’ammontare lordo a 26,4 miliardi e quello netto a 12,1 miliardi, con un’incidenza rispetto al totale dei crediti rispettivamente del 5,5% e del 2,9 per cento. Un obiettivo, quest’ultimo, da conseguire premendo anzitutto sull’attività di recupero, grazie all’ulteriore rafforzamento della piattaforma di servicing (da trasferire in una NewCo per cui si cerca anche una partnership con un operatore industriale) e alla creazione di Pulse (unità interna per la gestione degli impagati ai primi stadi). Non si escludono eventuali ulteriori cessioni di pacchetti di crediti deteriorati, «ma solo – ha avvertito Messina – se avverranno al valore di libro, perché non vogliamo arricchire i fondi di private equity».
La razionalizzazione dei costi non si poggia soltanto sulle 9mila uscite volontarie entro giugno 2020 (bilanciate in parte da 1.650 assunzioni) e sulla riconversione di 5mila persone verso attività a maggior valore aggiunto, ma abbraccia anche il patrimonio immobiliare (si veda in basso) e la riduzione delle entità giuridiche. Dodici fra banche reti e società prodotto verranno infatti incorporate in Intesa Sanpaolo e, sempre in tema di semplificazione, si convertiranno le azioni risparmio in ordinarie con il rapporto di uno a 1,04: «Siamo l’unica grande banca europea che ancora le mantiene», ha tagliato corto Messina.
Sul fronte dei ricavi l’obiettivo dichiarato ieri è da una parte diventare il numero uno in Italia nell’assicurazione retail non-motor, dall’altra progredire ulteriormente nel settore Wealth Management, dove si progetta un’espansione in Cina con l’obiettivo di raccogliere 8 miliardi entro il 2021 e soprattutto si è pronti a considerare una partnership con un operatore industriale globale. Messina non si è voluto sbilanciare su possibili nomi, ma ha auspicato la conclusione dell’operazione «nel corso del 2018».
Un capitolo intero del piano viene invece dedicato alla responsabilità sociale, nel segno dell’impegno di Giovanni Bazoli: l’obiettivo è divenire un modello di riferimento come impact bank «costituendo un’unità specializzata nella gestione proattiva e nella valorizzazione delle oltre 20 mila opere del nostro patrimonio». E sempre in tema di responsabilità sociale «lanceremo lo strumento Isp Fund for Impact di 250 milioni in modo da consentire l’erogazione di prestiti per 1,2 miliardi di euro a categorie con difficoltà di accesso al credito», ha annunciato Messina. Il legame con l’Italia rimane del resto profondo, nel bene e nel male: la situazione del nostro Paese, e una imprevista nuova recessione, resta «la sfida principale per la realizzazione dell’intero piano».
«Se l’ad Carlo Messina continuerà ad avere la sensibilità e l’attenzione fin qui dimostrate verso il personale, il nuovo piano potrà avere successo e la nostra condivisione», ha commentato il segretario generale Fabi, Lando Maria Sileoni.