Amsterdam non è pronta. E Milano ci prova. Doppio ricorso italiano alla Corte di Giustizia Ue di Lussemburgo, per provare a riassegnare l’Ema – l’Agenzia europea per il farmaco che a fine marzo 2019 dovrà traslocare da Londra causa Brexit – a Milano, dopo la vittoria, sul filo di lana e di un beffardo sorteggio, ad Amsterdam. Il primo, porta la firma di Palazzo Chigi. Il secondo, quello del Comune di Milano, d’intesa con Regione Lombardia, in quanto «parti lese».
Nella tarda serata di ieri – dato che entro la mezzanotte sono scaduti i termini per l’inoltro, essendo trascorsi 70 giorni dalla decisione – l’Avvocatura dello Stato ha presentato ricorso presso la Corte di giustizia Ue in merito all’assegnazione ad Amsterdam della sede di Ema attraverso una decisione, nella sostanza, assunta dal Consiglio europeo. Lo hanno confermato fonti di Palazzo Chigi, specificando che «il ricorso chiederà alla Corte di verificare se la decisione su Amsterdam non sia da considerarsi viziata da informazioni incomplete sulla sede della agenzia».
Dunque, nessuna polemica sul metodo utilizzato, nè tentativo di mettere in discussione la procedura seguita e l’impiego del sorteggio per uscire dall’impasse del “testa a testa”. Perchè il procedimento era stato approvato da tutti gli Stati membri (Italia compresa). Che non si era opposta neppure al termine della “lotteria” in cui Amsterdam aveva, alla fine, prevalso. A questo punto, il nodo può essere la “continuità operativa” di Ema. Nel dossier che accompagnava la candidatura di Amsterdam – così come in quella di altre città poi eliminate – era scritto chiaro che la sede definitiva non era pronta e si parlava di un primo trasferimento, per circa un anno, in un “temporary building”, prima di quella definitiva.
Ad accendere un nuovo faro sulla vicenda erano state, però, lunedì pomeriggio, nel corso di una conferenza stampa nella capitale olandese, le parole del direttore di Ema, Guido Rasi, che aveva definito la soluzione transitoria proposta dagli olandesi «non ottimale», perché «dimezza» lo spazio della sede di Londra. Il che aggiunge «complessità» al trasferimento e «allungherà i tempi per tornare a funzionare regolarmente». Parole che avevano scatenato le reazioni di parlamentari, ministri e del sindaco di Milano, Giuseppe Sala.
«Abbiamo ritenuto doveroso lavorare sul ricorso, soprattutto alla luce degli elementi emersi ieri ad Amsterdam – ha spiegato, ieri sera, il sottosegretario alle Politiche europee, Sandro Gozi – per chiedere una verifica alla Corte di giustizia. C’erano le condizioni o no per la candidatura di Amsterdam? Se non c’erano quella del governo olandese è stata una presentazione fuorviante? Quella finale è una decisione che è stata sviata? Abbiamo considerato un atto dovuto presentare il ricorso sapendo che è una valutazione molto difficile. Ma era necessario presentare il ricorso». Non solo Roma.
Anche il Comune di Milano – con il supporto della Regione Lombardia, proprietaria del grattacielo Pirelli che avrebbe ospitato l’Agenzia del farmaco in Italia – ha presentato, ieri, un proprio ricorso, ma avanti al Tribunale di Prima istanza Ue, cui può ricorrere chi è «direttamente e individualmente» coinvolto in decisioni europee da cui si sente penalizzato. In questo caso, l’obiettivo è l’annullamento della decisione del Consiglio Ue con la quale si è assegnata la nuova sede dell’Ema ad Amsterdam. Un’iniziativa del tutto indipendente ma in coordinamento con Palazzo Chigi. «Il ricorso – ha detto il sindaco di Milano, Giuseppe Sala – serve tecnicamente per sollevare la questione ma poi serve un’azione politica, quindi io spero che la Commissione europea sia attiva e prenda una posizione nell’interesse degli europei. Quando gli olandesi hanno fatto la loro proposta – ha concluso Sala – probabilmente erano consapevoli che non sarebbero stati pronti. Non hanno giocato molto pulito».
«Il ricorso alla Corte di Giustizia va bene – ha aggiunto il presidente di Regione Lombardia, Roberto Maroni – ma secondo me, valutata l’impossibilità di avere una sede pronta, il governo italiano dovrebbe chiedere alla Commissione europea di modificare la decisione presa. Noi possiamo mettere a disposizione il Pirellone e attrezzarlo in tempo utile perché a fine marzo 2019 l’Agenzia europea sia operativa. Amsterdam no, quindi non è tanto una questione di procedure, ma di revisione di una decisione per tutelare la salute dei cittadini. In questa direzione – ha concluso Maroni – io ho più speranza che non con il ricorso alla Corte».
Tuttavia, in mattinata, proprio la Commissione Ue – tramite il portavoce, Margaritis Schinas – aveva preso la distanze dalle prime voci di un ricorso italiano. «La decisione sulla nuova sede dell’Ema dopo la Brexit – ha sottolineato Schinas – è stata dei 27 Stati membri e non abbiamo niente da dire» a questo proposito. «Abbiamo fatto il nostro lavoro – ha proseguito – producendo un’analisi legale di tutte le offerte ricevute in modo trasparente. Non abbiamo fatto shortlist o graduatorie, ma abbiamo fatto la nostra valutazione sulla base dei criteri decisi. E nessuno – ha concluso – l’ha messa in dubbio». «Se c’è uno spiraglio per Milano, è giusto tentare – ha detto il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi –. Certo, a parti invertite, ovvero seavessimo vinto noi e in forte ritardo fosse stata Milano, ci avrebbero criticato molto».
Certamente, nelle linee guida che gli stessi 27 Paesi membri avevano approvato a giugno, c’era la necessaria «disponibilità di uffici adeguati in tempi utili, affinché l’agenzia possa assumere le proprie funzioni alla data del recesso». Inclusi «spazi sufficienti per uffici, sale riunioni e archiviazione fuori sede, reti di Tlc e conservazione dati». Su questo si gioca ora, ai supplementari, la partita per Milano.