Nel secolo delle città, si compete per piattaforme territoriali. Le città sono snodi di reti di innovazione e conoscenza globale a base urbana. Il sindaco Giuseppe Sala qui colloca Milano, con il suo libro denso di visioni e scenari sociali, economici e territoriali della Milano che viene avanti. Libro interrogante con l’idea forza che tiene assieme competitività e solidarietà, rievocandoci l’adagio ambrosiano “meriti-bisogni”, facendo eco al dibattito in corso a Davos sui numeri della ricchezza dei primi e i numeri della povertà degli ultimi.
A proposito di ultimi, i numeri ci invitano a scavare nella piattaforma del sociale comprendente l’area della diocesi di Milano (area metropolitana del capoluogo, province di Monza e Brianza, Lecco e Varese), dove si è realizzata un’indagine sulle povertà viste da un campione dei responsabili della rete dei 368 Centri di ascolto Caritas, distribuiti in quasi 200 comuni nei quali risiedono 4,5 milioni di abitanti, di cui circa 600mila stranieri e poco meno di un milione di over 65 anni. Anche questa fitta rete di ascolto e intervento sul disagio sociale a questa composizione sociale rimanda, essendo fatta, per lo più, da volontari over 65 anni (per lo più donne) impegnati nell’ascoltare e nel cercare di dare supporto ai tanti incagliati nelle secche della crisi economica.
A proposito di competizione e di reti finanziarie a base urbana emerge come nella crisi dopo la cessione degli Npl (non performing loans) delle imprese, tocca ai crediti residenziali inesigibili, che interessano in Italia almeno 700mila persone, con 267mila aste della casa di proprietà a garanzia nel 2016, esposte a crescenti rischi di sprofondare nelle sabbie mobili del “terremoto silenzioso” che sfarina il bene casa di proprietà, mito dei ceti medi.
A cercare di metterci una pezza, per tornare a Milano e in Lombardia, vi è la Fondazione San Bernardino, promossa dalle diocesi lombarde, che da tempo mette in guardia dalla rilevanza assunta dal mercato degli Npl in relazione alle «pratiche disinvolte di recupero crediti, senza regole e legami con il territorio, senza conoscenza delle famiglie e delle imprese» e pone in atto azioni di contenimento dei danni sociali da Npl.
Tutti temi rilevati da questi operatori sociali a bassa soglia che evidenziano come a connotare socialmente le povertà dei territori siano soprattutto due tipologie sociali: quella degli anziani e quella dei ceti medio e bassi, spesso ceti medi diventati ceti bassi, a delineare una società in cui le distanze tra ricchi e poveri aumentano tangibilmente. Nonostante non manchi il presidio di servizi pubblici, al netto di politiche sociali da rivedere, e sia evidente la crescita di un terzo settore considerato capace di contenere il deterioramento del clima sociale. Quel che è certo è che ai piani bassi non si rilevano segnali significativi di ripresa dal periodo di lunga crisi economica. L’impoverimento materiale delle famiglie è in cima alle preoccupazioni degli operatori, al pari della crescente precarietà del lavoro. Questioni materiali molto rilevanti cui si aggiungono da qualche anno le povertà relazionali legate alla crisi della famiglia, alla solitudine, al disagio psichico o all’indifferenza sociale. Impoverimento e precarietà toccano parimenti italiani e stranieri, rispetto ai quali va mantenuta la visione di città accogliente e aperta alle intelligenze, ai saperi, agli scambi con il mondo non solo delle merci e dei servizi e delle reti, ma anche delle reti di persone, evitando la sindrome da invasione.
Ad accompagnare la preoccupazione per gli effetti perduranti della crisi, vi è la mancanza di fiducia nelle istituzioni, spesso alimentata o connessa a un dibattito mediatico che aumenta lo smarrimento, il disorientamento e l’erosione della volontà di interpretare i cambiamenti sociali in atto o, peggio, il fare della questione sociale una bolla di comunicazione della paura. Questo clima di entropia, che non è ancora rancore, rende più difficile, rispetto ad un tempo, dare risposte ad un disagio delle persone che, tutto sommato, non è poi più invisibile o meno comprensibile di un tempo. I volontari ci dicono che, rispetto ad un tempo, sono scomparsi gli ambiti comunitari di mediazione ed è diminuita la qualità di servizi sociali a causa del sovraccarico di incombenze di natura sociale e burocratica. Appaiono depotenziate figure di mediazione come i medici di base, il vigile urbano, il vicino di casa, l’esercente, l’insegnante.
La percezione di vivere in un contesto sociale in deterioramento nella sua incapacità di generare anticorpi all’impoverimento aumenta la percezione di essere maggiormente esposti a fenomeni di violenza e di criminalità. Così, mentre i numeri del Pil ci dicono che è in atto una ripresa, e, nella grande Milano più che altrove, questo pare più essere percezione delle elite competitive e meno nel sentire sociale diffuso. C’è chi è ancora incagliato nelle secche della crisi originata ormai un decennio fa e, nelle aree urbane più che altrove, è palpabile la crisi di quel ceto medio scivolato lungo il “piano inclinato”, per usare il titolo di un libro di Romano Prodi, della discesa sociale. Proprio in quel libro, per altro, si abbozzava una strategia con la quale affrontare il dramma delle migliaia di famiglie a rischio di vedere la propria abitazione pignorata, prospettando un intervento da Stato che si mette in mezzo tra sofferenze bancarie e sofferenze delle persone, con una funzione da capitale paziente. Cercando di coniugare esigenze dei mercati (la competizione) e dignità delle persone (la solidarietà). Per competere serve ricucire (cardinal Gualtiero Bassetti) e serve rammendare (Renzo Piano) i numeri del sociale e delle periferie, mettersi in mezzo alla dialettica competizione-solidarietà nel produrre coesione sociale.
Delineando la città che viene, sia questa una città-stato, una città-mondo, una Milano supermetropoli (Gianfelice Rocca) o una post-metropoli urbano regionale (Alessandro Balducci). Il discutere della Milano che verrà costringe ad una visione di futuro interrogante che va oltre il “promettificio” dilagante.