E’ normale che in tempi così incerti la nostalgia la faccia da padrone. In queste settimane Sky sta pubblicizzando i suoi servizi con un neologismo che la dice lunga sulla lunghezza d’onda su cui siamo appoggiati: NOSTALGIOIA.Come al solito i pubblicitari hanno trovato la sintesi perfetta: la nostalgia diventa letizia, emozione. Guardare al passato come un tempo in cui abbiamo vissuto e, soprattutto, abbiamo superato le prove della vita, è un esercizio necessario per rassicurarci che ce l’abbiamo già fatta. Essere ancorati a quello che è stato, invece, è un modo per non progettare il futuro. In questo dibattito tra passato e futuro sta tutta l’evoluzione dell’uomo.La storia è fatta da sognatori, avventurieri, provocatori che hanno saputo andare oltre i limiti distruggendo il presente, rompendo le tavole della legge che dominavano in quel momento. Ma non sempre il mondo ha avuto la capacità di andare avanti. Ci sono stati dei personaggi che sono stati in grado di distruggere o congelare il progresso di una civiltà. In un libro di qualche anno fa, “Occidente” (Mondadori), lo storico inglese Niall Fergusson partiva proprio da questa domanda: “per quale ragione, a cominciare dalla fine del XV secolo, i piccoli Stati dell’Europa occidentale (…) produssero una civiltà capace non soltanto di conquistare i grandi imperi orientali e soggiogare l’Africa, le Americhe e l’Australasia?” In quella fase storica Pechino, sotto la dinastia dei Ming, era la più grande città del mondo (Londra era dieci volte più piccola) e il futuro appariva brillante e prospero da quella parte del mondo. Ad un certo punto in Cina tutto si fermò e l’Europa cominciò a mietere successi. Fergusson per dimostrare queste due diverse traiettorie individua sei killers application: competizione, ricerca scientifica, proprietà privata, medicina, consumismo ed etica del lavoro. L’analisi di Fergusson si chiude prefigurando una crisi dell’occidente, a discapito di una crescita dell’impero celeste, nel momento in cui le la ricetta che lo ha reso “forte e invincibile” si è annacquata. Dopo la nomina di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti, il dibattito sul declino del paese a stelle e strisce è diventato ancor più acceso e i segnali sembrano convergere tutti verso una fine della supremazia americana, politica ed economica, sugli altri paesi. Anche dal punto di vista tecnologico, la Cina sembra oggi non avere rivali. Tutto vero. Poi però leggi la biografia, scritta da Ashlee Vence, di un sognatore-pazzo come Elon Musk e ti vengono dei dubbi. Elon Musk opera con le sue varie attività – SpaceX, Tesla, Hyperloop – in California, tra Los Angeles e la Silicon Valley.
L’America riparte dal Sudafrica?
Lungo tutto il libro, Ashlee Vence si pone una domanda: Musk, a pieno titolo entrato nella mitologia dei supereroi per le nuove generazioni, in realtà è l’uomo che ci salverà o è un millantatore? Qui – di certo – rientriamo nel club dei geni invasati. Definizione troppo dura? Elon Musk, di origine sudafricana, dice di voler salvare l’umanità creando le condizioni di vita sul pianeta Marte. Basterebbe questa frase per spedirlo per qualche tempo in una casa di cura psichiatrica. Il 2 novembre scorso Tesla ha perso alla borsa di N.Y molto terreno perché, attraverso una lettera agli azionisti, Musk ha dichiarato di essere in ritardo con le consegne della Model 3 (appena 222 invece di consegnarne 1500). La Model 3, nell’intento di Musk, dovrebbe essere l’equivalente della Model T di Henry Ford (non a caso si replica il nome Model). La Model T fu la prima vettura di serie a motore a scoppio; la Model 3 (costo 35.000 dollari), dovrebbe essere la prima auto elettrica popolare. Le difficoltà produttive non sembrano marginali, tanto che alcuni commentatori economici stanno prefigurando una crisi pesante per Tesla. Alcuni il fallimento dell’azienda. Il 16 novembre scorso ha presentato alla stampa un camion elettrico dalla forma avveniristica e una nuova roadstar (costo 200 mila dollari) che raggiunge i 200 kn/h in pochi secondi. Allo stato attuale non si può sapere come finirà la partita, ma la lettura della sua biografia è utile per capire che Musk ha più di qualche possibilità di farcela. E’ uno abituato alle sfide al limite dell’impossibile perché fanno parte del suo essere imprenditore. E’ un mix tra un pokerista che butta sul tavolo da gioco tutti i soldi sin lì guadagnati e un visionario che vede cose che noi umani non riusciamo a immaginare. Ed è forse questa la cifra che rende Musk unico e da osservare: la tecnologia per sua natura non tende ad uno scopo, non offre una visione di senso, direbbe il filosofo Umberto Galimberti; con Elon Musk sembra invece che apra scenari di “salvezza e speranza”. Tutte le sue aziende sin qui create hanno sempre rischiato grosso, molto grosso.
Come vivere sull’orlo del baratro o del successo
Una breve cronistoria di baratri evitati. Nell’estate del 1994, appena sbarcato in Silicon Valley, fonda con il fratello Kimbal, che ora si dedica alla ristorazione biologica, una start up dal nome Zip2 (una specie di geolocallizzatore di attività). Per i due fratelli sudafricani, e squattrinati, sembrava una partita persa perché l’idea era troppo avanti rispetto alle necessità e alla tecnologia disponibile in quel momento. Nel 1998 la società, dopo una fusione mancata, perde soldi a vista d’occhio e la parola fine sembra scritta. Nel febbraio del 1999 Compaq Computer offre 307 milioni in contanti per comperare Zip2 e i due fratelli, per il rotto della cuffia, si salvano. A quel punto Elon Musk decide di puntare tutte le sue fiches su X.com per rivoluzionare il mondo dei pagamenti bancari. Nel gennaio del 2000, mentre sta andando con la sua prima moglie in luna di miele, viene estromesso – a brutto muso – dalla sua società per essere rimpiazzato da Peter Thiel (personaggio molto noto nell’ambiente per le sue idee estreme, tanto da essere l’unico tyconn della Silicon Valley che viene considerato un confidente di Donald Trump). La ragione di questa estromissione sta nei suoi modi bruschi, saccenti conditi da un ego smisurato che avevano creato una frattura profonda nei vari team di X.com, nel frattempo diventata la ben più nota PayPal. Si ripete quello che accadde a Steve Jobs quando nell’aprile del 1985 venne estromesso dalla sua creatura Apple (le analogie non finiscono qui: Tesla, come Apple, in brevissimo tempo, è diventato un brand iconico). PayPal, invece, grazie alla guida di Musk “è sopravvissuta allo scoppio della bolla delle dot.com ed è diventata la prima IPO di grande successo dopo gli attacchi dell’11 settembre del 2001 e poi è stata venduta per una cifra astronomica mentre il settore tecnologico era sprofondato in una grave crisi”. Nel giugno del 2002 fonda SpaceX, una start up con l’obiettivo di esplorare il cosmo. Il primo razzo doveva essere lanciato nel 2004. In realtà il primo lancio fu fatto il 24 marzo del 2006 con un risultato che avrebbe fatto desistere a continuare chiunque nell’impresa: Falcon 1 si schiantò sopra la rampa di lancio. Nel 2007 ci riprova sperimentando un nuovo clamoroso insuccesso. Il 2007 per Musk, che nel frattempo oltre all’avventura con SpaceX aveva cominciato quella con Tesla, è stato un annus horribilis: la Roadster, la prima auto che doveva essere costruita, era ancora un progetto e Falcon 1 aspettava inutilmente sulla rampa di lancio per partire. Entrambi i progetti stavano succhiando i soldi portando Musk alla bancarotta. Solo il 28 settembre del 2008, dopo quattro tentativi andati a vuoto, Falcon 1 fece il suo primo viaggio spaziale. Questo però non aveva messo al sicuro le sue aziende, anzi. Nel dicembre del 2008 il panico era totale quando il 23 dello stesso mese ricevette dalla Nasa 1,6 miliardi di dollari in cambio di dodici voli verso la stazione spaziale. Soldi che hanno fatto svoltare SpaceX verso un futuro più roseo e fatto diventare la società “dallo zimbello dell’industria aeronautica in uno degli operatori più affidabili”. SpaceX oggi è in grado di battere sul prezzo competitor americani del calibro di Boeing, Lockheed Martin, Orbital Sciences. Nel febbraio del 2013 Tesla era in una tale crisi finanziaria che Musk chiamò il suo amico Larry Page, il fondatore di Google, per vendergli l’azienda. L’accordo verbale era già stato raggiunto quando Tesla, grazie ad una insperata campagna vendita, riesce a piazzare un numero sufficiente di auto tale per cui ottiene un trimestre fiscale record. A quel punto la vendita a Google di Tesla sfuma.
Più Stato in più Tesla?
Musk non è la prima volta che fissa date che non è in grado di rispettare. Considera questa modalità una leva su cui agire nei confronti dei suoi collaboratori. Allo stesso modo il suo motto è “done is better than perfect”. Meglio arrivare prima con il prodotto, anche se non perfetto, piuttosto che dopo. Tipico approccio da startup, questa volta applicato anche nell’alta tecnologia. Ma Elon Musk potrebbe essere diventato quello che è in Europa o in Italia? La risposta è negativa per tanti motivi. Uno di questi ce lo ha ricordato Marianna Mazzuccato nel suo libro “Lo stato innovatore” (Laterza). Sia SpaceX che Tesla hanno fruito di importanti commesse o finanziamenti pubblici. Non sempre i fondi pubblici creano solo burocrazia, se ben indirizzati. Anche in Cina è prematuro pensare che esista un ecosistema in grado di generare – e ammettere – un personaggio simile. Certo in Cina c’è Jack Ma con la sua Alibaba (da leggere il libro pubblicato recentemente in Italia: “Alibaba. La storia di Jack Ma e dell’azienda che ha cambiato l’economia globale” – Hoepli), ma le condizioni per creare un Musk sono ancora di là da venire. Non si sa come finirà la technologies-story che sta scrivendo Elon Musk, troppo poco per darlo morto dopo una trimestrale fallimentare. Comunque vada ha rivoluzionato due “vecchi mondi”: quello aerospaziale e quello automobilistico. La sua è una vicenda umana che è al limite dell’umano, e per questo va presa con le pinzeanche se qualche insegnamento ce lo offre. Magari un po’ di pazzia servirebbe anche a noi comuni mortali per affrontare questi tempi interessanti, forse troppo interessanti. Per chi volesse approfondire il personaggio, e trarre qualche ulteriore spunto, meritano di essere lette le mail (disponibili sul web) che con una certa frequenza invia a tutto il personale di Tesla o SpaceX. Sono mail, in qualche caso brutali, che tendono a mantenere le aziende come fossero delle perenni startup in cui gli obbiettivi aziendali (o sogni) sono sempre ben definiti in cui vige la (quasi) zero gerarchia.
Titolo: Elon Musk
Autore: Ashlee Vance (traduttrice: Ilaria Katerinov)
Editore: Hoepli
384 pp; 21,17 Euro