Il socio estero non è solo per le squadre di calcio o le grandi multinazionali. Ad averlo sono quasi 183mila imprese italiane nel cui capitale è presente un partner straniero, sia esso una persona fisica o giuridica. Complessivamente il numero dei soci esteri raggiunge quota 213mila.
Addentrandoci in questo perimetro, da cui sono escluse le imprese quotate, per individuare le società con una dimensione significativa di attività – usando la soglia di un giro d’affari superiore ai due milioni – emergono quasi 15mila società che nell’arco dell’ultimo triennio hanno chiuso il bilancio superando questa soglia. E una su due, 7.700, ha almeno un soggetto giuridico estero nella propria compagine di controllo: 18.900 investitori a cui fanno capo partecipazioni per poco più di 57 miliardi.
È quanto rivela la «Mappa delle partecipazioni straniere nelle imprese italiane» realizzata da Infocamere attingendo alle informazioni – i dati sono aggiornati al novembre 2017 e ai valori di bilancio 2016 – contenute nel Registro delle imprese delle camere di commercio.
Scorrendo il valore delle partecipazioni per paese in cui ha sede il socio giuridico su tutti svettano tre nazioni: Olanda, Regno Unito e Lussemburgo. Sono questi i sistemi-paese che offrono flessibilità normativa, vantaggiosi regimi fiscali, un migliore accesso al credito e sono hub della finanza globale da cui operano, tra gli altri, i fondi di private equity e di venture capital. Seguono poi la Francia, gli Stati Uniti e la Spagna, il paese da cui proviene il maggiore numero di soci, poco più di 4mila pari al 21% di tutti i soci giuridici, in imprese italiane.
Un quinto del valore delle partecipazioni di soci giuridici al capitale sociale di imprese italiane fa capo a realtà in Olanda, il 16% al Regno Unito e un altro 15% al Granducato. Scorrendo i paesi di origine ben figurano la Svizzera e il Belgio, entrambi hanno partecipazioni per quasi 1,2 miliardi, e non mancano le Isole Cayman, paradiso fiscale che ha imboccato la via di una maggiore trasparenza. Qui hanno sede hedge fund e veicoli d’investimento, banche d’affari e istituti di credito di tutto il mondo. Dall’arcipelago “arrivano” quasi 300 soci a cui fanno capo oltre 800 milioni di partecipazioni.
La distribuzione sul territorio di queste 7.700 realtà vede al primo posto la Lombardia con le province di Milano, Monza e Brianza, Bergamo e Varese. Si concentra qui la metà del capitale sociale riconducibile a partecipazioni giuridiche estere. Seguono Lazio e Toscana. Una parte significativa del valore si concentra lungo l’asse della manifattura Torino-Trieste, mentre nelle restanti regioni il peso è nell’ordine dei decimi di punto.
Quali sono i motivi che attirano in Italia questi capitali? In alcuni casi può trattarsi di una operazione prettamente finanziaria; in altri la partecipata dispone di know how e innovazioni, senza dimenticare i casi dei colossi dell’economia digitale che presidiano il nostro paese tramite società, per esempio, di servizi. C’è poi chi fa leva sulle possibili sinergie e altri giocano la carta della globalizzazione per muoversi verso nuovi mercati.
Sullo sfondo rimane il nodo della sottocapitalizzazione e della difficoltà con cui le Pmi familiari, nonostante un giro d’affari di qualche decina di milioni, faticano a crescere all’estero.
I settori su cui si concentra maggiormente l’interesse degli investitori giuridici esteri sono le tradizionali “corazzate” del made in Italy. Al primo posto con una quota del 37% svetta il manifatturiero, in primis il comparto dei macchinari e beni strumentali, che precede di poco più di un quarto di punti percentuali il commercio, sia all’ingrosso che al dettaglio, insieme alle officine di riparazione di auto e moto. Con una manciata di punti seguono le attività professionali e tecniche, la logistica, trasporto e stoccaggio di beni, la comunicazione, il noleggio, l’eterogeneo mondo dei servizi a supporto delle imprese, per finire con le agenzie di viaggio.