Nel dibattito politico-elettorale sulla flat tax sta per arrivare una proposta ambiziosa. Tanto ambiziosa che si propone esplicitamente di tradurre in policy fiscali dell’anno di grazia 2018 addirittura le istanze di Milton Friedman e Anthony Atkinsons, due giganti del pensiero economico le cui opinioni sul mondo erano piuttosto diverse. Autore della proposta è Nicola Rossi, economista, ex consigliere economico di Massimo D’Alema a Palazzo Chigi ed ex presidente dell’Istituto Bruno Leoni.
Rossi ha scritto per conto dell’editore Marsilio un libro, «Flat tax, aliquota unica e minimo vitale per un Fisco semplice ed equo» che sarà disponibile dal 25 gennaio e che già dal titolo ripromette di mettere a sintesi tre fattori. Ridurre la pressione fiscale, tutelare i ceti meno abbienti e introdurre una profonda riforma del sistema tributario. «Il Fisco di oggi costituisce un freno non più sostenibile per l’economia italiana. Per la sua straordinaria complessità, per il suo peso eccessivo, per la sua strutturale inefficienza e, come se non bastasse, per la sua limitata portata redistributiva».
La proposta Rossi si articola sostanzialmente su quattro punti: a) una sola aliquota al 25% per tutte le principali imposte a partire dall’Irpef; b) abolizione di tasse «incomprese e incomprensibili» come Irap, Imu e Tasi; c) introduzione di un minimo vitale a favore dei nuclei familiari in difficoltà e differenziato geograficamente; d) ridefinizione del finanziamento di alcuni servizi pubblici che restano gratuiti per la maggior parte dei cittadini e vengono invece pagati dai più abbienti.
L’Irpef così riformata prevederebbe una soglia di esenzione fino a 7 mila euro per un single (o 11 mila in caso di una coppia), comprenderebbe tutti i redditi da proprietà immobiliare e riscriverebbe tutto il regime delle deduzioni e detrazioni tagliandone drasticamente le voci. Nel libro Rossi scende nel dettaglio e simula gli effetti pratici della sua flat tax sui diversi segmenti che compongono la società italiana, l’idea di base rimane comunque quella «di ridurre significativamente tanto la pressione fiscale quanto la spesa pubblica». Due bersagli con un solo colpo. Per le imprese organizzate in forma di società di capitali l’aliquota sarebbe fissata al 25% (oggi è 28%) mentre per le ditte individuali varrebbero le regole dell’Irpef.
La flat tax targata Rossi non vuole presentarsi come un regalo ai ricchi(«non sono un bieco rappresentante del liberismo selvaggio» ironizza l’autore) e prevede infatti la nascita del minimo vitale differente per caratteristiche familiari e zona di residenza (in media 500 euro), che dovrebbe sostituire «tutta l’attuale accozzaglia di trattamenti assistenziali». «Un welfare così riformato — sostiene Rossi — rafforzerebbe le tutele dei singoli e dei nuclei familiari più deboli ed esposti al rischio povertà». Non è in loro nome, quindi, che può essere invocata la difesa del Fisco di oggi e il no alla flat tax.