Valgono il 2% del Pil. Sono medi o piccoli, a volte piccolissimi: tra chi (tanti) supera appena i 20 milioni di giro d’affari e chi (pochi) sfiora il mezzo miliardo, la media-ricavi è di 72,8 milioni. Eppure questi 600 imprenditori — i 500 «piccoli» Champions, i 100 «super» che il primo grande salto dimensionale l’hanno già fatto — presi tutti insieme sarebbero il maggior gruppo manifatturiero italiano. Sfiorano i 44 miliardi di fatturato. Soprattutto: crescono a doppia cifra, guadagnano e reinvestono, hanno tassi di redditività che forse solo alcuni big del lusso possono vantare. Senza, peraltro, creare gli stessi livelli di occupazione, se non con l’indotto. In un Paese in cui il primo datore di lavoro sono ancora le Poste (138 mila dipendenti), è vero che subito dopo viene Luxottica (85 mila), ma la nostra pattuglia di campioni lascerebbe indietro le une e l’altra: nelle loro fabbriche, laboratori, uffici sparsi per l’Italia entrano ogni giorno quasi 160 mila persone.
Sono solo alcuni flash. Pochi scatti iniziali presi dal secondo viaggio-analisi de «L’Economia» e di ItalyPost nell’universo delle piccole e medie imprese italiane. Quest’anno abbiamo allargato il perimetro: l’esame degli ultimi sei bilanci di tutte le nostre Pmi è servito ad aggiornare la Top 500 (fatturato 20-120 milioni, le new entry sono 168), e ad ampliare la ricerca con la nuova Top 100 (i migliori tra i gruppi con ricavi 120- 500 milioni, otto arrivano dalla Top 500 del 2018). Quei pochi scatti iniziali nascono dunque da una base ampia a sufficienza da consentire alcune osservazioni. Possiamo anche, per esempio, continuare a snobbare queste imprese con la tesi secondo la quale «bonsai» è bello se parliamo di botanica, ma nell’industria è indice di fragilità ed è il limite storico del capitalismo nazionale. Oppure — versante opposto della stessa distratta attenzione — possiamo fare ciò che è tornata a fare la politica di governo: toglierle dai radar, non dedicare loro più di qualche bella parola, usarle per dire che «i fondamentali della nostra economia sono solidi» e il problema sono le guerre commerciali, non certo la forza del nostro tessuto manifatturiero.
E siamo al punto. Ne parliamo, di manifattura, eccellenze, multinazionali tascabili capaci di bilanciare ampiamente l’handicap delle dimensioni con superspecializzazioni che puntano alle nicchie, in qualunque settore, e in quelle si rivelano poi leader globali e assoluti. Le citiamo (in blocco), ce ne vantiamo (giustamente), ma alla fine la verità è che non le conosciamo. Per dire. Abbiamo chiari in testa i grandi brand della moda (che peraltro pesa sul Pil «appena» per l’1,3%, dunque i nostri Champions fanno meglio): non sappiamo di essere altrettanto, forse ancora più considerati per i marchi della meccatronica. Pensiamo alle altre due «effe» del made in Italy (con «fashion» ci sono food and furniture, cibo e mobili), e non ci viene neppure in mente che, accanto o dietro ai master chef e ai superdesigner, abbiamo tante piccole e medie imprese eccellenti & vincenti.
Ecco. Il nostro secondo «giro d’Italia» tra i piccoli e medi imprenditori sconosciuti, ma di successo, nasce da qui. Il primo, l’anno scorso, ci ha portato a un lungo reportage passato da molti territori, molte aziende, molti incontri con il Paese che produce. Era un’Italia ancora in crescita, però. Quella che incominciamo a percorrere adesso è invece depressa, teme che la recessione non sia solo tecnica, crede abbia ragione chi pronostica altri crolli del Pil e non una prossima, «bellissima» stagione di nuova ripresa. Lo dicono alcuni dei nostri stessi Champions: quando sono ad alto tasso di export non prevedono necessariamente fasi di rallentamento, per le loro aziende, ma il calo di mercati e consumi (interni, soprattutto) lo avvertono e lo segnalano con preoccupazione. Può essere perciò che non tutti, nel 2019 e in qualche caso già nel 2018, siano in grado di ripetere le performance del 2011-2017. In particolare nell’automotive.
Queste tuttavia sono aziende che hanno continuato a investire e svilupparsi persino nella Grande Crisi nata nel 2008-2009, che dal 2011 sono cresciute in media del 10,67% l’anno, che in ciascuno degli ultimi tre esercizi hanno prodotto utili industriali vicinissimi al 19% delle vendite. È dunque anche merito di questi piccoli campioni spesso nascosti, se l’Italia ieri ha agganciato la ripresa e domani — cioè ora — riuscirà ad attivare gli anticorpi di fronte a una crisi negata dalla politica, ma più che strisciante, e che non sappiamo quanto durerà. Saranno direttamente loro, gli imprenditori capaci di creare comunque sviluppo, a raccontarci «live» come vanno le cose nel mondo reale. Il viaggio de L’Economia nelle loro aziende comincia oggi da Nord Ovest, arriverà in Piazza Affari il 15 marzo con l’evento e il numero speciale dedicati ai Champions, continuerà con tappe settimanali sui territori fino a metà giugno. Le tre pagine che seguono sono la prima puntata-barometro.
*L’Economia, 18 febbraio 2019