Di lavoro se ne parla e se ne straparla. Quando capita qualcosa di strano, tutti a correre allo scandalo. Se poi si fonde il tema scuola con quello del lavoro, il corto circuito è perfetto. Un esempio? Sull’alternanza scuola-lavoro, la vera riforma di questi ultimi anni, si sono raccontati tutti i fatti peggiori. Perfino gli studenti, i primi interessati che la riforma funzioni, hanno più volte manifestato platealmente contro. Ma senza una scuola in grado di creare un sistema di transizione consapevole con il lavoro avremmo sempre più giovani disoccupati e, quindi, frustrati. Per questo è di vitale importanza creare collegamenti diretti tra questi due mondi. Come salvare la scuola e il lavoro dal linciaggio mediatico, a questo punto, è un dovere per tutti noi. La semplificazione regna e il rischio di fare di tutto un’erba un fascio è un esercizio facile, ma assolutamente pericoloso. Di questo passo la scuola sarà sempre più vissuta come un’imposizione della prima parte della vita e il lavoro la seconda puntata del romanzo triste che ognuno di noi interpreta. Chi vive, o frequenta la scuola e il mondo del lavoro sa che la realtà è ben diversa. Ne conosce i limiti, le difficoltà, i rischi, gli spazi di miglioramento, le enormi potenzialità. Per portare luce alla scuola e al lavoro è necessario dar loro spazio nei media; inoltre servono esperienze positive e numeri, cifre. Serve sostanziare, controbattere, circoscrivere. Far capire che la situazione è diversa. Tutto ciò necessita di un esercizio cognitivo, per fare in modo che “la marmellata emotiva” non copri tutto. Se una casa non venisse pulita e mantenuta, la polvere e le erbacce la sommergerebbero. Questa è la differenza tra ciò che fa la natura, con i suoi istinti, e ciò che fa l’uomo, con la ragione.
Lavoratori più maturi delle aziende
Libri come “Fuori classe”, scritto da Daniele Marini, hanno il pregio di partire, e arrivare, ad un’analisi su come stia cambiando il lavoro grazie ad un’opera costante di monitoraggio sul campo. Nel volume sono sistematizzate una serie di ricerche che sono state condotte da Community Media Research nel tentativo di realizzare un’osservazione continua, in particolare, nelle aziende metalmeccaniche. L’idea che ne emerge è tutt’altro che negativa. Anche nei passaggi più delicati, potremmo definirli ideologici, i lavoratori dimostrano una maturità che tante parti politiche non hanno ancora raggiunto. Poco meno della metà, il 45,9%, delle persone coinvolte in queste ricerche, è a favore con questa misura legislativa e il 64,5% ritiene che quando viene meno la fiducia tra lavoratore e azienda è meglio cercare una nuova occupazione facendosi dare un indennizzo economico. Ma la maturità del mondo del lavoro la si evidenza quando si va ad analizzare la dimensione soggettiva della prestazione. Qui emerge in modo netto e chiaro che
“un miglioramento della propria situazione lavorativa passa mediante un forte impegno personale (81,1% metalmeccanici; 76,2% in Italia) e l’investimento nella formazione continua (38,3% metalmeccanici; 41,0% in Italia. Aggiungendo quanti sottolineano la dimensione del saper rischiare (13,1% metalmeccanici; 11,8% in Italia otteniamo che circa 7 lavoratori su 10 attribuiscono a sé medesimi, alle opportunità formative, alle proprie propensioni caratteriali le chance per costruire un percorso di carriera e di progressione professionale”.
Lavoro circolare: aziende, istituzioni e lavoratori
Questi numeri dimostrano che esiste una forte consapevolezza dei lavoratori più di quanto noi immaginiamo. Le persone hanno già incorporato una precisa visione di imprenditorialità del loro ruolo. Uno stock di visione che diventa fondamentale per continuare ad affrontare le trasformazioni che da qui in avanti si susseguiranno. Avere coscienza che il “mio” lavoro, e la qualità di esso, per la gran parte, “dipende da me” è un risultato straordinario che non va disperso. Le aziende devono curarlo. Le istituzioni devono assecondarlo. Se questi dati li colleghiamo a quelli relativi alla capacità di esprimere se stessi nella propria professione, dove la stragrande maggioranza (91,2%) ritiene di avere la possibilità di farlo e di ricavarne apprezzamento (82,1%) dai propri superiori, si capisce quale giacimento di positività sia presente nei luoghi di lavoro. Per le aziende si aprono spazi importanti di maggiore coinvolgimento e di ulteriore miglioramento del clima che possono aiutare l’impresa a crescere in produttività e in comunità di senso. Lo si capisce chiaramente dalle pagine di “Fuori classe”: i lavoratori sono pronti alla sfida nel pretendere di più dai propri colleghi e dai propri superiori. Bisogna che le aziende ci credano fino in fondo e mettano in capo strumenti e azioni coerenti per non disperdere questo patrimonio. Ma se le aziende hanno ampi spazi di movimento, anche le istituzioni non possono buttare al vento questa propensione al miglioramento: vanno, in fretta, organizzati quei percorsi per riqualificare e supportare il lavoratore qualora fosse costretto ad uscire dall’azienda.
Ceti professionali in movimento
Marini individua, attraverso le sue ricerche, cinque ceti professionali. Si va dall’”operativo” (8,7%), il profilo che svolge un’opera prettamente esecutiva; il “manuale upgrade” (15%), in grado di gestire strumentazioni tecnologiche; l’”operatore esperto” (23,9%) che mette insieme autonomia decisionale e utilizzo di tecnologia; il “mentedopera” (32,9%), dove la dimensione intellettuale è prevalente rispetto a quella manuale; per arrivare al ceto professionale “skill 4.0” (19,6%), che assomma autonomia decisionale, tecnologie avanzate e lavoro in team. Se questi ultimi lavoratori incorporano un forte orientamento imprenditoriale nello svolgimento delle loro mansioni, gli altri quattro ceti professionali non sono da meno. Sicuramente cominciano ad avere coscienza che, se anche nel loro attuale lavoro non hanno ampi spazi di autonomia, questa condizione non sarà per sempre e necessita di uno spostamento in avanti delle loro competenze. Non ci sono dubbi che questi numeri percentuali tra qualche anno saranno diversi e i lavoratori “skill 4.0” saranno una quota ancora più consistente. Semmai, da valutare con attenzione, è il carico di stress mentale che continua a segnare un andamento in continuo aumento. Il dato ce lo sottolinea Marini attraverso una serie di rilevazioni avvenute a settembre 2015, febbraio e ottobre 2016 e luglio 2017. Aumentare il livello di autonomia delle persone è fonte di maggiori responsabilità che se non controllata e supportata può generare ansia. L’aiuto del capo, in questo caso, diventa essenziale per rassicurare che il salto non è nel vuoto ma in avanti.
Sennet ci aveva già avvisato
L’azienda, nel suo complesso, deve mettere in atto una serie di strumenti, prima di tutto un costante monitoraggio, perché questo avvenga senza creare un disagio personale. Quando si impara, ce lo insegna la scuola, è necessario aiutare per gradi, insegnare per passi, creare le condizioni per superare gli ostacoli. Non può che ritornare alla mente l’opera di Richard Sennet e, in particolare, “L’uomo flessibile” (Feltrinelli), scritto nel 1998, in cui aveva previsto come la flessibilità avrebbe trascinato con sé anche l’ansietà. Cambia il lavoro e deve cambiare l’approccio degli imprenditori e dei manager nei confronti dei lavoratori. Maggiore complessità e incertezza del contesto aziendale, più alta professionalità e capacità decisionale dello spazio lavorativo, richiede un attrezzaggio adeguato. L’impressione è che i lavoratori siano un passo avanti. Si siano molto autoregolamentati in questi ultimi anni. Tanto che la professionalità la stanno acquisendo on the job, cioè con metodi tradizionali. Come dire: i lavoratori ci stanno lavorando a questa nuova era lavorativa. Adesso la palla deve passare anche a chi le aziende le gestisce, con più attenzione al benessere lavorativo, al lavoro in team e un’adeguata formazione. Se i lavoratori sono “fuori classe” perché non appartengono più ad una classe omogenea, come ci dice Marini sin dal titolo del suo libro, il mondo del lavoro deve ritornare “in classe” perché la transizione richiede costante apprendimento.
Titolo: Fuori classe
Autore: Daniele Marini
Editore: Il Mulino
148 pp; 16 Euro