Non sarà un 2019 facile nemmeno per il partito del Pil. Il dietrofront del governo gialloverde nel conflitto con l’Europa ha segnato un punto per le associazioni d’impresa che hanno fatto capire a Di Maio e Salvini che non avrebbero condiviso il loro percorso autarchico. Ma è evidente che la manovra si presenta confusa, contraddittoria, piena di insidie e non favorisce certo la battaglia contro i rischi di recessione. Per questo motivo al partito del Pil toccherà mobilitarsi di nuovo su due differenti versanti. Il primo, quasi scontato per quanto detto finora, riguarda l’azione di condizionamento delle scelte governative. Dalla Tav in poi sono ancora molti i punti interrogativi aperti nella conduzione della politica industriale ed economica e le associazioni d’impresa faranno bene a stare in campo magari coordinando le loro piattaforme per aumentare la massa critica di pressione. In una prima fase il governo Conte aveva puntato esplicitamente a dividere le piccole imprese dalle mediograndi, le associazioni dei commercianti/artigiani dalla Confindustria.
Entrambe queste mosse sono fallite e il governo ha trovato vicino a sé — pressoché incondizionatamente — solo Coldiretti, Codacons e Confimi. Non molto, in verità. Il secondo versante è quello che investe l’azione stessa dei corpi intermedi, la loro vicinanza alla base, la qualità dei servizi offerti. Sono le trasformazioni strutturali dell’economia italiana nel dopo Grande Crisi che ancora non sono state focalizzate con la necessaria attenzione. La nascita delle moderne filiere cambia la geografia imprenditoriale, costringe i distretti a ripensarsi, polarizza le Pmi tra aziende capaci di diventare partner dei proprio committenti e aziende destinate a sopravvivere con il solo mercato interno. E via di questo passo.
Se il partito del Pil viene inteso non tanto come una lobby ma come una piattaforma dell’economia reale è evidente che con quelle trasformazioni deve fare i conti anche perché la politica sarà affaccendata in tutt’altre missioni, quella elettorale innanzitutto. I rischi di recessione saranno il leitmotiv sin dalla ripresa di gennaio e più si sarà elaborata una visione condivisa delle trasformazioni di cui sopra più sarà possibile affrontare un eventuale nuovo shock. Quel che appare certo è che comunque il mercato interno non potrà essere una valvola di sfogo delle difficoltà dell’export, il governo Conte lo pensava ma la realtà dovrebbe aver spazzato quell’illusione.