La Ripartenza, finalmente. Con le dita incrociate perché funzioni tutto come vorremmo, e non si debba tornare indietro, ma senza aver lasciato niente al caso: per quello che è possibile, per quel poco che del virus si sa, il tempo congelato dal lockdown gli imprenditori – quelli seri – l’hanno usato per mettere in sicurezza le aziende e chi per loro lavora, per inventarsi layout di produzione che d’ora in poi saranno la regola, per studiare, capire, cercare di anticipare il «new normal» di mercati cambiati forse per sempre dalla pandemia.
È in questo modo che una settimana fa, lunedì 4 maggio, dopo 40 giorni di chiusura totale le fabbriche della meccatronica, del tessile, dell’automotive hanno riaperto i cancelli. Si sono aggiunte alle filiere che non avevano mai chiuso, la farmaceutica e l’alimentare, e dovranno certamente spendersi con molta più fatica. Risollevarsi da settori che il Covid-19 ha azzerato sarà faccenda lunga e complicata. Qualcuno non ce la farà. A questo punto però tutto il made in Italy manifatturiero è schierato.
Una leva per la ripartenza
In prima linea, accanto ai pochi colossi rimasti all’industria nazionale, ci saranno le mille piccole e medie imprese Champions selezionate da L’Economia e ItalyPost per la loro capacità di crescere, di guadagnare, di creare valore, di rafforzarsi patrimonialmente anno dopo anno. Anche durante i periodi di crisi. L’analisi dimostra quanto fossero uscite più forti persino dalla lunga ondata recessiva del 2008-2012. Perciò se Ricostruzione sarà, nei prossimi mesi, loro faranno parte dell’avanguardia in grado di trainare il resto del Paese. Davanti alla parola «ricostruzione» potremmo in realtà pure togliere il «se», visto che i Campioni hanno in testa solo quello e sono sicuri che sì, sarà durissima (e la selezione non risparmierà nemmeno le loro fila), però ne verranno fuori e torneranno a crescere. Lo lasciamo, il condizionale, perché per quanto possano riaccendere il motore delle rispettive aziende e farlo andare a pieni giri, la cinghia di trasmissione della «loro» ripresa rischia troppe interruzioni «di sistema». La liquidità promessa da mesi alle imprese ma che ancora non arriva, una burocrazia ulteriormente peggiorata (chi pensava fosse impossibile?), l’assenza di un progetto-Paese con visione sul dopo pandemia sono soltanto alcuni dei fattori che potrebbero rendere tutto più colpevolmente lento e complesso.
Sarebbe un peccato, e non veniale. La forza dei Champions è una risorsa a costo zero e che, anzi, potrebbe funzionare da leva. Anche tra loro ci sarà chi non si rialzerà da tutto quello che il Covid-19 ha bruciato e brucerà nel turismo, nell’automotive, nel tessilemoda. Ma la stragrande maggioranza delle Top Mille non ha soltanto le spalle robuste costruite in anni di sviluppo a ritmi medi vicini al 10% (cioè almeno dieci volte tanto gli asfittici tassi dell’economia italiana nel suo complesso), di utili ricchi e continuamente reinvestiti in innovazione tecnologica e di processo, di conquista dei mercati esteri, di irrobustimento patrimoniale. Per dare un’idea: la squadra dei Campioni non ha debiti, ma un saldo cash di 3 miliardi, e con un patrimonio netto aggregato di 46,4 miliardi l’ossigeno necessario ad affrontare i mesi di apnea non sarà (per i più) un grosso problema. Certo, avrebbero voluto usarlo per altri investimenti procrescita, e invece dovranno prenderlo per risalire dal precipizio verso cui la pandemia ha spinto il mondo. Ma così è. Loro, almeno, le risorse per gestire lo choc le hanno. Possono impiegarle – lo stanno facendo – da un lato per resistere, dall’altro per tirar fuori le opportunità che comunque ogni crisi porta con sé.
Quindi sì, i vantaggi (sudati) di bilanci più che solidi serviranno in buona parte a far fronte ai danni da Covid: salvo forse che nella farmaceutica o nella grande distribuzione non c’è nessuno, per quanto super, che pur con la risalita prevista per il secondo semestre 2020 riuscirà a pareggiare i conti con ciò che è stato spazzato via già fin qui, in poche settimane. Però questa è gente che non crede nella logica dell’«ognuno per sé». I Champions – la maggior parte, almeno – sanno perfettamente che non sarebbero arrivati dove sono se, oltre a essere bravi, non avessero saputo trattare da partner i loro dipendenti e i loro fornitori. Perciò, quando è scoppiata l’emergenza ed è scattato il lockdown, pensando già alla ripartenza quelle sono state le priorità.
Ai dipendenti si è cercato di garantire gli stessi livelli di reddito ricorrendo intanto alle ferie e cercando di evitare la cassa integrazione. Ci sono aziende che sono state o saranno costrette a tagliare, ma anche altre che nel giro di un mese sono riuscite ad assumere di nuovo. Alla Balocco, per dire, il disastro generale delle vendite pasquali – giù tra il 40 e il 50%, come si teme accadrebbe anche a Natale se davvero in autunno il Covid-19 tornasse a colpire pesantemente – è costato il posto ad almeno un terzo degli «stagionali». Però poi, in aprile, la spinta sugli altri prodotti ha consentito ad Alberto Balocco un ampio recupero. Rispetto ad aprile 2019 i dipendenti li ha aumentati. A maggio pensa di fare altrettanto. E sebbene lui la chiami «spaventata fiducia», pur sempre fiducia è.
Quanto ai fornitori, è soprattutto qui, tra i Champions, che le due paroline «fare sistema» assumono un senso oltre gli slogan da convegno. Con le attività a zero, il problema numero uno delle aziende, tutte, era (e rimane) trovare la liquidità indispensabile a tener botta? Bene. Durante il lockdown è capitato, per esempio, che colossi della moda internazionale – e proprio mentre i signori del lusso made in Italy si mettevano a produrre camici e mascherine – abbiano preteso dai loro clienti considerevoli acconti sugli ordini per le prossime collezioni. I Campioni, infinitamente più piccoli (per dimensioni), hanno fatto l’opposto: da Colosio a Sant’Anna, stanno pagando in anticipo le fatture in calendario. Un dettaglio, poca cosa? Ditelo ai tanti micro imprenditori che, magari, avrebbero voluto a loro volta anticipare ai dipendenti gli assegni fin qui fantasma della Cig. Solo che ancora oggi, quando vanno a chiedere i promessi prestiti garantiti dallo Stato, si sentono rispondere: «Ripassi, non ci hanno detto bene come fare. Ma intanto prepari questi 10, 15, 20 documenti».